L’Ucraina tra Guerra e Diritto e L’Europa nella sfida del nostro tempo


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Sommario

  1. La guerra come crisi del diritto
  2. L’invasione dell’Ucraina: oltre la forza, contro la legge
  3. L’identità europea e la difesa della civiltà
  4. Il popolo ucraino e la resistenza come diritto
  5. Pensare la pace, dentro il conflitto

1. La guerra come crisi del diritto

Nel cuore del continente europeo, il ritorno della guerra ha spezzato l’illusione di una pace perpetua, portando con sé una domanda antica quanto la civiltà: può ancora il diritto essere più forte della forza?

La guerra d’aggressione lanciata dalla Federazione Russa contro l’Ucraina nel 2022 rappresenta una cesura storica e una sfida diretta all’intero ordine internazionale postbellico. Non si tratta solo di una disputa territoriale, ma di una crisi della legalità globale, una frattura che interroga profondamente la nostra idea di giustizia e convivenza.

L’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite è esplicito: “Tutti i membri devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”¹. Questo principio, fondamento del sistema ONU, è stato violato nel momento in cui la Russia ha avviato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina, dopo anni di escalation in Crimea e nel Donbass.

Questa violazione non è un incidente diplomatico, ma un attacco deliberato a uno dei pilastri del diritto internazionale: la sovranità degli Stati. Se accettiamo che un Paese possa imporsi con la forza militare su un altro, apriamo le porte a un mondo in cui la legge non ha più alcun valore vincolante.


2. L’invasione dell’Ucraina: oltre la forza, contro la legge

La narrazione ufficiale russa ha tentato di giustificare l’invasione con argomenti che mescolano sicurezza nazionale, difesa delle minoranze, rivendicazioni storiche e accuse ideologiche. Ma nessuna di queste motivazioni regge al vaglio del diritto.

La “denazificazione” dell’Ucraina è una costruzione propagandistica priva di fondamento. L’Ucraina è uno Stato democratico, con una società pluralista, elezioni libere e istituzioni trasparenti. L’aggressione russa ha invece portato a bombardamenti di civili, deportazioni, distruzioni di scuole, ospedali, infrastrutture energetiche.

In questo contesto, non si può non ricordare quanto scriveva Immanuel Kant nel suo celebre trattato Per la pace perpetua: “La guerra non può essere il diritto per decidere delle cose”². La legittimità politica non nasce dai carri armati, ma dal consenso dei governati, dal rispetto dei trattati, dall’autodeterminazione dei popoli.

L’invasione dell’Ucraina è una negazione della volontà di un popolo che ha scelto di essere libero e europeo. È una guerra condotta contro la modernità del diritto, contro la legittimità democratica, contro la convivenza tra le nazioni.


3. L’identità europea e la difesa della civiltà

In questa crisi, l’Europa è chiamata non solo a reagire, ma a ritrovare sé stessa. Perché difendere l’Ucraina significa difendere la propria identità di civiltà giuridica e politica.

L’Europa nasce come risposta alla barbarie della guerra, come rifiuto dell’imperialismo e del totalitarismo. È fondata sull’idea che ogni popolo ha diritto a vivere in pace, a decidere il proprio destino, a costruire un futuro senza ingerenze armate.

Difendere l’Ucraina non è solo una scelta geopolitica, ma un obbligo morale per chi crede nella democrazia, nella giustizia e nei diritti umani. Non è un caso che Hannah Arendt abbia scritto: “Essere privati dei diritti è essere privati del mondo stesso”³. Oggi, il popolo ucraino rischia esattamente questo: di essere cancellato come soggetto politico e culturale.

Non è retorica. È una realtà testimoniata ogni giorno: nei villaggi distrutti, nelle famiglie spezzate, nelle lingue proibite, nei libri censurati. Una guerra alla memoria e all’identità, condotta in nome di una restaurazione imperiale che nega i fondamenti del pluralismo europeo.


4. Il popolo ucraino e la resistenza come diritto

L’Ucraina ha dimostrato, sin dal primo giorno dell’invasione, di non voler cedere. Non per orgoglio nazionalista, ma per dignità democratica. Il popolo ucraino ha scelto l’Europa, e lo ha fatto a caro prezzo: prima con la Rivoluzione Arancione (2004), poi con Euromaidan (2013-14), infine con la resistenza armata al tentativo russo di sottomettere il Paese.

Questa resistenza è pienamente legittima: lo afferma l’articolo 51 della Carta ONU, che riconosce il diritto alla legittima difesa individuale e collettiva. Ma è anche un’espressione profonda della volontà popolare, che non può essere ignorata da nessun trattato, da nessuna strategia, da nessun accordo di potere.

Il filosofo russo Mikhail Bakhtin, una delle voci più significative della cultura nonviolenta russa, ci ha lasciato una riflessione preziosa: “Ogni voce umana ha diritto a essere ascoltata, ogni parola ha diritto a esistere nel dialogo”⁴. Questa voce oggi è quella degli ucraini, ed è un dovere morale — per noi europei — non lasciarla sola.


5. Pensare la pace, dentro il conflitto

Essere a favore della pace non significa essere neutrali. Significa schierarsi con chi è stato aggredito, con chi resiste, con chi ha diritto a decidere del proprio destino. La pace non può essere una resa mascherata, né una forma di quieto vivere geopolitico.

John Dewey, filosofo americano della democrazia e dell’educazione civica, scriveva: “La pace non è un’interruzione della guerra, ma una forma di convivenza che si costruisce nella giustizia”⁵. È proprio questa giustizia che oggi è sotto attacco: la possibilità di convivere tra popoli liberi, senza che uno imponga all’altro la propria lingua, la propria storia, il proprio potere.

L’Europa ha il compito, e l’occasione storica, di mostrare che la civiltà non è una parola astratta, ma una scelta quotidiana. E questa scelta passa oggi da Kyiv, Kharkiv, Mariupol, dalle città che resistono non solo per sé stesse, ma per l’idea stessa di diritto e libertà in Europa.

A. C.


Note

  1. Carta delle Nazioni Unite, art. 2.4, San Francisco, 1945.
  2. Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795.
  3. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951.
  4. Mikhail Bakhtin, Estetica e romanzo, 1975.
  5. John Dewey, The Public and Its Problems, 1927.

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