Approfondimenti/ Storia. L’affaire Dreyfus, di Federica Fanuli


Federica Fanuli, 31 anni, si laurea con 110 e Lode in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, presso l’Università del Salento, con una tesi in Relazioni Internazionali in cui analizza i pilastri della politica estera di Ahmadinejad, Presidente della Repubblica islamica dell’Iran dal 3 agosto 2005 al 3 agosto 2013: la questione ebraica e la questione nucleare. Procede i suoi studi universitari a Lecce e consegue la Laurea specialistica in Scienze Politiche, Comunitarie e delle Relazioni Internazionali, con 110 e Lode, scrivendo una tesi, in Storia dei Trattati e della Politica internazionale, sull’Amministrazione Nixon e le relazioni indo-pakistane. Nei primi anni ’70, la terza guerra tra India e Pakistan fa da sfondo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, grazie all’abilità politica del binomio Nixon-Kissinger di sfruttare i legami con Islamabad. Aspirante analista di politica internazionale, collabora dal 2009, come contributor settore mediorientale, con il Centro Studi Internazionali e, co.co.pro. dal 2009 al 2013, Federica ha lavorato presso una società che offre consulenza tecnica alla regione Puglia per il Programma di Sviluppo Rurale. Al momento studia per il Dottorato di ricerca in Storia moderna e contemporanea.
Federica Fanuli, 31 anni, si laurea con 110 e Lode in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, presso l’Università del Salento, con una tesi in Relazioni Internazionali in cui analizza i pilastri della politica estera di Ahmadinejad, Presidente della Repubblica islamica dell’Iran dal 3 agosto 2005 al 3 agosto 2013: la questione ebraica e la questione nucleare. Procede i suoi studi universitari a Lecce e consegue la Laurea specialistica in Scienze Politiche, Comunitarie e delle Relazioni Internazionali, con 110 e Lode, scrivendo una tesi, in Storia dei Trattati e della Politica internazionale, sull’Amministrazione Nixon e le relazioni indo-pakistane. Nei primi anni ’70, la terza guerra tra India e Pakistan fa da sfondo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, grazie all’abilità politica del binomio Nixon-Kissinger di sfruttare i legami con Islamabad. Aspirante analista di politica internazionale, collabora dal 2009, come contributor settore mediorientale, con il Centro Studi Internazionali e, co.co.pro. dal 2009 al 2013, Federica ha lavorato presso una società che offre consulenza tecnica alla regione Puglia per il Programma di Sviluppo Rurale. Al momento studia per il Dottorato di ricerca in Storia moderna e contemporanea.

l’Affaire Dreyfus, antisemitismo e antisionismo 

L’affare Dreyfus è uno scandalo politico-giudiziario che sconvolge la Francia della Terza Repubblica, nel 1894. Capitano di artiglieria, di estrazione ebraica, Alfred Dreyfus è accusato di spionaggio per aver rivelato a un militare tedesco informazioni segrete sulla organizzazione militare francese. All’indomani della Guerra Franco-Prussiana, la Francia della Terza Repubblica è attraversata da una serie di scontri, tra repubblicani e sostenitori della Monarchia, e indebolita dall’ipotesi di un imminente colpo di stato. Processato e condannato ai lavori forzati, l’intensa campagna di stampa condotta da Emile Zola consente la scarcerazione e la riabilitazione del Generale Dreyfus, sebbene le sue origini abbiano rafforzato il concetto di cospirazione legato all’ascendenza ebraica. Un antisemitismo atavico, medievale, che diventa fonte d’ispirazione per il Movimento sionista di Herzl e la ricerca indiscussa della Terra Promessa.

I fatti

La drammatica vicenda del Capitano d’artiglieria dell’Esercito francese, Alfred Dreyfus, ebbe inizio nel 1894, con la scoperta di un biglietto anonimo e non datato in cui un Ufficiale di Stato maggiore francese indicava, a un militare dell’Ambasciata tedesca a Parigi, una serie di documenti riservati attinenti all’Esercito francese. L’elenco fu trovato in mille pezzi, dentro il cestino della carta straccia, da Marie Bastian, una donna delle pulizie in servizio presso l’ambasciata tedesca, probabilmente agente del controspionaggio francese. La donna fece pervenire il biglietto al Maggiore Henry e, il 13 ottobre 1894, Dreyfus fu arrestato[i]. Processato a porte chiuse, la vicenda terminò nel 1895. Un caso di spionaggio che sarebbe in realtà durato ben dodici anni. Giudicato dalla Corte Marziale colpevole di alto tradimento e spionaggio, Dreyfus fu degradato e deportato sull’Isola del Diavolo, nella Guyana Francese, per scontarvi l’ergastolo ai lavori forzati[ii]. A dire il vero, nei ranghi dell’Esercito francese sibilava già da qualche tempo la parola “tradimento”, con cui si cercava di spiegare la sconfitta subìta a Sédan nella guerra contro la Prussia[iii]. La Guerra Franco-Prussiana scoppiò a seguito di un incidente diplomatico legato al cosiddetto dispaccio di Ems, un telegramma reso pubblico da Bismarck che conteneva una dichiarazione di Guglielmo I contro Napoleone III. La Francia dichiarò così guerra alla Prussia, ma dopo poche settimane dall’inizio del conflitto Napoleone III fu sconfitto e imprigionato a Sédan, mentre a Parigi fu proclamata la Terza Repubblica[iv]. L’affaire Dreyfus divenne motivo di divisione tra l’opinione pubblica. Da una parte, vi erano i dreyfusards, intellettuali e politici che ritenevano si trattasse di una clamorosa prova di antisemitismo; dall’altra, gli antidreyfusards, antisemiti. Nel 1896, il Colonnello Georges Picquart tentò la riapertura del caso, redigendo una relazione nella quale dimostrava l’innocenza del Capitano e la colpevolezza del Maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy, nobile di origini antiche oppresso dai debiti di gioco. Picquart fu ben presto rimosso dal suo incarico e spedito in una zona di guerra; sebbene fosse riuscito a informare in tempo il Vicepresidente del Senato Auguste Scheurer-Kestner e lo scrittore ebreo Bernard Lazar, amico della famiglia Dreyfus, che lanciò una campagna innocentista, alla quale aderì anche lo scrittore Emile Zola[v]. Il 13 gennaio 1898, infatti, sulla rivista letteraria Aurore fu pubblicata la sua famosa lettera destinata al Presidente della Repubblica, intitolata “J’accuse!”. Di tutta risposta, lo Stato Maggiore ordinò l’arresto di Piquart e processò Zola per vilipendio delle forze armate, scatenando i giornali nazionalistici contro ebrei, democratici e liberali[vi]. Nel 1898, Ferdinand Walsin-Esterházy confessò di aver contraffatto i documenti obbedendo a ordini superiori. Nel 1899, di fronte alla Corte di Cassazione, un nuovo processo portò a un secondo giudizio di colpevolezza per Dreyfus, con una riduzione della condanna a dieci anni di carcere. Fu il nuovo governo progressista ad annullare la sentenza e concedere l’amnistia a Dreyfus che, nel 1906, fu pienamente riabilitato da una sentenza definitiva della Corte di Cassazione, reintegrato nell’Esercito con il grado di Maggiore e insignito della Medaglia della Legion d’Onore[vii].

Dreyfus, Antisemitismo e Antisionismo

L’affare Dreyfus divenne una questione nazionale. L’oggetto della polemica era costituito dall’origine ebraica dell’imputato, perché le sue origini conducevano direttamente all’accusa di tradimento e di cospirazione. Un accostamento che ha radici profonde, poiché gli ebrei sono stati storicamente accusati d’infedeltà. Il caso traccia un solco profondo che giunge fino a noi, non a caso l’antisemitismo contemporaneo si fa risalire a tale vicenda[viii]. La parola “antisemitismo” fu coniata da Wilhelm Marr, ex socialista convertito ai valori germanici, nel libro Semite Jude, una campagna di diffamazione contro gli ebrei molto violenta che risale alla fine dell’Ottocento e che favorirà successivamente la nascita del mito ariano[ix]. L’antisemitismo nei paesi occidentali comincia ad assumere carattere aggressivo con l’affaire Dreyfus. All’epoca, decisivo fu il ruolo della stampa. I giornali, soprattutto di orientamento cattolico, riuscirono a pilotare una parte dell’opinione pubblica verso la convinzione ideologica che la Francia fosse minacciata da macchinazioni ebraiche[x]. Una concezione ideologica che sarà poi avallata dalla pubblicazione de “I Protocolli dei saggi anziani di Sion”. Una falsificazione propagandistica antisemita, redatta dalla polizia segreta russa, che descriveva un piano di conquista del mondo organizzato dalla comunità ebraica, attraverso il dominio e il controllo dei punti strategici delle moderne società occidentali, quali la finanza, la stampa, l’economia, gli eserciti militari, la morale e la cultura[xi]. L’antisemitismo è impregnato di pregiudizi e atteggiamenti persecutori contro gli ebrei. Era opinione diffusa che i giudei muovessero i fili del mondo e la cui liberazione passasse, obbligatoriamente, dall’individuazione e dalla neutralizzazione di tali “parassiti”. Una logica del complotto quanto mai attuale. L’ebreo contaminava le società con le quali entra in contatto e alimentava l’antigiudaismo di matrice cristiana. Gli attacchi antisemiti provenivano soprattutto dagli ambienti cattolici e reazionari e se gli intellettuali schierati a favore di Dreyfus erano ispirati dai principi di giustizia e libertà, quelli che guidavano l’impegno degli antidreyfusards erano intrisi di nazionalismo. Strettamente connesso al nazionalismo era l’antisemitismo[xii]. La razza francese andava protetta, purificata dal contagio delle altre razze, quella ebraica, virus infetto da estirpare dall’organismo della nazione. Uno sterminio che si concretizzerà nell’Olocausto. Ben diverso l’antisionismo. Un giovane giornalista ungherese di religione ebraica, Theodor Herzl, inviato dal suo giornale a seguire gli sviluppi della vicenda Dreyfus, comprese che in nessuna nazione, persino nella terra dell’Illuminismo, laddove si formò lo spirito laico, l’antisemitismo avrebbe consentito l’integrazione sociale. Herzl scrisse Lo Stato Ebraico, in cui teorizzava il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico che avrebbe dovuto avere una propria patria, dove finalmente gli ebrei sarebbero stati al sicuro dall’odio antisemita[xiii]. L’opinione, secondo la quale gli ebrei non avrebbero mai potuto vivere in sicurezza senza un proprio Stato, trovava conferma nell’ondata di antisemitismo in Europa, nelle persecuzioni e nelle leggi discriminatorie di cui gli ebrei erano vittime indiscusse sin dai secoli passati. Il prefisso “anti” rivela la natura avversativa, l’opposizione allo Stato di Israele, poiché considerato storicamente illegittimo o privo di una ragione storica per esistere. Herzl, nel 1897, convocò la nota Conferenza di Basilea in Svizzera e, in seguito al primo Congresso Sionista, pubblicò un documento intitolato Il Programma di Basilea destinato agli ebrei dispersi nella Diaspora e alle nazioni nelle quali essi vivevano. Il Congresso sionista di Basilea stabilì che l’insediamento di agricoltori ebrei nella Palestina turca, l’organizzazione e l’unità degli ebrei di tutto il mondo, la formazione di una coscienza nazionale ebraica e l’appoggio politico alla causa sionista da parte di diversi governi del mondo avrebbero garantito uno Stato in cui stabilirsi[xiv]. Gli accordi di pace e la Dichiarazione Balfour sembrarono concedere la possibilità di ottenere uno Stato indipendente in Palestina, sotto il mandato britannico, e mentre s’intensifica l’emigrazione ebraica verso la Palestina, il mondo occidentale si avvia verso un antisemitismo sempre più crudele. Questo processo è accelerato dalla nascita dei totalitarismi, il nazismo in Germania, lo stalinismo in Unione Sovietica e il fascismo in Italia. Nel corso del tempo, l’antisionismo è diventato la più pericolosa ed efficace forma di antisemitismo, attraverso la sistematica delegittimazione e demonizzazione dello Stato di Israele, che nacque il 14 maggio 1948[xv]. Gran parte di questa diffamazione e criminalizzazione deriva sicuramente dalla causa palestinese e dalla forza di Israele che si manifesta ripetutamente negli interventi militari. Le manifestazioni a favore della Palestina, che sorgono in alcune capitali europee a ogni nuovo round delle ostilità, non devono essere il terreno fertile e il pretesto per coloro che, dietro la solidarietà alla Striscia di Gaza, celano un radicato antisemitismo pericoloso. Nomadi, assetati di sangue, cospiratori e invasori che hanno conquistato con la forza la Palestina, manipolati dalla Gran Bretagna e poi dagli Stati Uniti. Gli ebrei sono spesso colpiti in quanto tali, non perché unanime condividano la politica di Netanyahu[xvi]. La costruttiva opposizione politica a Israele, sulla base di “critiche” conoscenze storiche, non coincide con le manifestazioni di odio razziale e religioso. Il conflitto israelo-palestinese da decenni infetta l’Europa di antisemitismo e non si può escludere che nelle sinagoghe prese di mira con molotov, come accaduto proprio nella Sarcelles – la “piccola Gerusalemme” alla periferia di Parigi – fossero raccolti in preghiera ebrei di ogni estrazione politica e, per di più, estranei alle offensive israeliane su Gaza. La frase “Hitler aveva ragione” tira in ballo tutto l’orrore possibile[xvii]. L’antisionismo però non è un sentimento estraneo alla popolazione ebraica. Gli ebrei ortodossi, appartenenti al movimento dei Naturei Karta – Guardiani della città, in lingua aramaica – sono antisionisti. Fondato dal Rabbino Aharon Katzenelbogen, nel 1938, il gruppo dei Neturei Karta combatte il Sionismo, perché considerato alla stessa stregua del Colonialismo, gli ebrei hanno occupato il territorio palestinese[xviii]. Il Rabbino Moshe Hirsch è stato consigliere di Arafat per gli Affari Ebraici del governo palestinese e, nel 2005, una delegazione ha preso parte alla Marcia per la Liberazione di Gaza[xix]. Diversi componenti del Neturei Karta si recano regolarmente in Iran e, nel 2006, hanno anche partecipato, su invito dell’allora Presidente della Repubblica islamica Ahmadinejad, alla famosa Conferenza sull’Olocausto, alla quale presero parte revisionisti e negazionisti della Shoah. Il sostegno a favore della popolazione palestinese, che non è una negazione dei diritti umani della popolazione ebraica, ha una natura prettamente religiosa con riflessi politici, poiché risponde alla volontà di Dio. “I sionisti devono cedere l’intera terra alla Palestina e attendere la venuta del Messia per riavere Israele” si legge a Mea Shearim, il quartiere di Gerusalemme che ospita gli ebrei ortodossi, secondo le rigide osservanze dei libri sacri della Torah e del Talmud[xx]. È chiaro dunque che se, da una parte, l’antisemitismo non corrisponde all’antisionismo; dall’altra parte, spesso erroneamente, i due fenomeni si sovrappongono.

Quale soluzione?

Capro espiatorio, ma anche prova di diffidenza e persecuzione verso gli ebrei, l’affaire Dreyfus offre spunti interessanti per tornare indietro nel tempo e tracciare l’excursus storico dell’accanimento sociale contro le comunità ebraiche accusate di cospirare, ordire un complotto al fine di dominare il mondo, politicamente ed economicamente, e distruggere la religione cattolica. La giudaica perfidia degli ebrei deicidi, che hanno condannato Cristo alla croce e che compivano rituali macabri sui bambini cristiani. Guardando avanti però, il vecchio antisemitismo di matrice europea non è morto con Auschwitz, ma si è rigenerato congiungendosi a quello islamico di natura politica e religiosa. L’antisemitismo resta una patologia che resiste e che andrebbe combattuta culturalmente e con il riconoscimento del diritto di Israele di esistere e di garantire il rispetto dei diritti della popolazione palestinese, in virtù di una cooperazione internazionale, che appare complicata dall’instabilità della regione mediorientale che non può essere meramente ricondotta al conflitto israelo-palestinese.

Federica Fanuli

[i] Cfr. T. Conner, The Dreyfus Affair and the Rise of the French Public Intellectual, McFarland, 2014, p. 57.
[ii] Cfr. A. Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, 2012, p. 69.
[iii] Cfr. http://www.dreyfus.culture.fr/en/bio/bio-html-ferdinand-walsin-esterhazy.htm.
[iv] Cfr. http://siba2.unisalento.it/moneta/index.php?sec=bio&page=history8.
[v] Cfr. A. Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, 2012, pp. 90-93.
[vi] Ibid., pp. 162-167.
[vii] Cfr. http://www.dreyfus.culture.fr/en/bio/bio-html-ferdinand-walsin-esterhazy.htm.
[viii] Cfr. A. Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, 2012, pp. 95-98.
[ix] Cfr. https://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/biography/WilhelmMarr.html.
[x] Cfr. Cfr. A. Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, 2012, pp. 98-101.
[xi] Cfr. W. Benz, I protocolli dei savi di Sion. La leggenda del complotto ebraico, Mimesis Edizioni, 2009, pp. 27-35.
[xii] Cfr. Cfr. A. Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell’intellettuale moderno, Franco Angeli, 2012, pp. 39-45.
[xiii] Cfr. R. Finzi, L’antisemitismo: dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio, Giunti Editore, 1997, pp. 37-40.
[xiv] Cfr. http://storiadisraele.blogspot.it/2010/08/herzl-e-la-home-ebraica-il-sionismo.html.
[xv] Cfr. http://www.osservatorioantisemitismo.it/antisemitismo/; http://www.isral.it/web/web/risorsedocumenti/27gennaio_antisemitismo.htm.
[xvi] Cfr. http://it.ibtimes.com/articles/69006/20140731/antisemitismo-esodo-ebrei-israele-palestina-gaza-odio.htm.
[xvii] Cfr. http://www.huffingtonpost.it/2014/07/22/antisemitismo-manifestazioni-pro-gaza_n_5608708.html.
[xviii] Cfr. http://www.nkusa.org/aboutus/.
[xix] Cfr. http://fiammanirenstein.com/articoli.asp?Categoria=1&Id=30.
[xx] Cfr. http://ilmanifesto.info/le-origini-dellantisionismo-degli-ebrei-ortodossi/.
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4 pensieri riguardo “Approfondimenti/ Storia. L’affaire Dreyfus, di Federica Fanuli

  1. Grazie dell’articolo.

    Avrei due domande: Quando inizia ‘storicamente’ de facto il mito del cosiddetto ‘popolo’ palestinese? Come e in che situazione viene ‘creato’ lo Stato di Israele e quali sono le sue immediate ‘conseguenze? Grazie.

    Mi permetto di suggerirle una lettura interessante, e molto pertinente, sull’ Affaire Dreyfus, non faziosa, che presenta tutti i punti di vista correnti, e culturalmente al di sopra di ogni sospetto. Dovrebbe leggere, se non l’ha già fatto, un breve ‘romanzo’ di Anatole France (in francese se possibile) che tratta la questione ebraica della 3 repubblica dall”interno della società, senza strumentalizzazioni (purtroppo inconfutabili, causa l’essere umano) filtrate di storici e studiosi e critici vari. È un’esperienza storica, filosofica, sociale e politica notevole oltre ché, e soprattutto perché, contemporanea ai fatti.

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    1. Gent.ma,
      Innanzitutto, grazie del suo intervento e della lettura che ci ha consigliato!
      Veniamo alle sue domande. Il mito del popolo ebraico potrebbe risalire alla diaspora. La dispersione del popolo ebraico nel mondo, che ha origine in due diversi momenti storici. Il primo risale alla conquista di Gerusalemme da parte dei babilonesi, nel 587 a.C., e alla conseguente deportazione del popolo ebraico a Babilonia. Il secondo evento storico, nel 135 d.C., coincide con la distruzione della città di Gerusalemme, quando i romani soffocano le rivolte degli ebrei contro l’Impero Romano e l’Imperatore Adriano vieta agli ebrei di risiedere in Palestina. Secondo un’accezione biblica, il popolo ebraico è condannato a vagare, sradicato e perseguitato, perché colpevole della crocifissione di Gesù. Durante il Medioevo, l’antigiudaismo della Chiesa alimenta nei credenti l’antisemitismo, che genera odio e giustifica le persecuzioni degli ebrei. Gli ebrei costituiscono un pericolo per la società medievale dominata dalla religione cristiana. Il loro costante rifiuto di convertirsi al Cristianesimo assume i tratti di delegittimazione della fede cristiana. L’accusa di deicidio cadrà solo dopo la II Guerra Mondiale, archiviata a seguito degli sforzi di riconciliazione, fortemente voluti da Giovanni Paolo II. Non avendo una nazione di riferimento, nel corso dei secoli, l’identità del popolo ebraico si è sempre fondata sulla religione, rendendo spesso difficoltosa l’integrazione nelle culture e tradizioni dei vari paesi e il carattere chiuso delle loro comunità è stato additato, con opportunismo politico, come capro espiatorio di crisi o malessere sociale. Segregati da leggi religiose e civili nei loro ghetti, perseguitati e sterminati, gli ebrei hanno sviluppato una forte identità culturale e la loro diversità “stereotipata”, nelle caratteristiche fisiche, nel modo di vestirsi e in molte abitudini quotidiane, li ha resi ancora più esposti al sospetto e a ingiusti attacchi. Per quanto riguarda la nascita dello Stato d’Israele e lo stato di conflitto permanente tra Israele e Palestina, è opportuno fare un passo indietro di quasi settant’anni. Sottoposta a dominazione turca fino alla dissoluzione dell’Impero Ottomano, all’epoca della Grande Guerra, sulla Palestina si estende il Mandato britannico, sotto l’autorità della Società delle Nazioni. La politica imperialista inglese però scontenta la comunità ebraica e quella araba, motivata da un forte spirito nazionalista, e la Palestina diventa subito punto d’intersezione delle contraddizioni esistenti tra politica coloniale e mandataria, nazionalismo arabo e movimento sionista. Creare lo Stato d’Israele prima che si sollevi l’opposizione araba o reprimere il nazionalismo arabo per sostenere la nascita dello Stato ebraico? La Corona inglese deve scegliere tra due possibilità inconciliabili. Nel frattempo, la progressiva ascesa al potere di Hitler in Germania scatena flussi migratori di migliaia di ebrei che dall’Europa tornano in Palestina, una fuga dal terrore che diventa motivo di crescente esasperazione tra gli Arabi. Le immigrazioni ebraiche si fanno sempre più insistenti e se, da un lato, le comunità ebraiche invocano la costituzione di uno Stato ebraico indipendente in Israele, obiettivo dell’Organizzazione sionistica mondiale; dall’altro, la Lega araba esorta la nascita di uno Stato arabo in Palestina. Il processo di decolonizzazione del territorio palestinese è tormentato e, unitamente alle rivendicazioni territoriali arabe e israeliane, la complessa amministrazione della Gran Bretagna in Palestina diventa una questione internazionale. La nozione della creazione di due Stati distinti e separati è oggetto dei lavori della commissione d’inchiesta anglo-americana, che conduce a un nulla di fatto e la Gran Bretagna deferisce la questione all’ONU. La Commissione United Nations Special Commitee on Palestine (UN-SCOP), nella quale gli Stati Uniti non sono rappresentati, stila un Piano di Partizione che ottiene, nel 1947, la maggioranza dei voti in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il Piano approva la nascita dello Stato arabo e dello Stato ebraico. La proposta è respinta dagli arabi, al contrario, i sionisti accolgono la nascita dello Stato ebraico su parte del territorio palestinese, soprattutto, riconosciuto da un organismo fonte del diritto internazionale. Il rifiuto arabo genera un’escalation di proteste, preludio del primo conflitto arabo-israeliano. Prima conseguenza della nascita dello Stato di Israele. Il 15 maggio 1948, nello stesso giorno in cui Israele dichiara la propria indipendenza, gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Giordania e Iraq attaccano il nuovo Stato. Gli israeliani lottano in nome di un’idea maturata negli anni e divenuta ora un progetto nazionale; gli arabi combattono, senza una nazione, contro l’intrusione imperialistica britannica e israeliana. Il secondo conflitto scoppia in seguito della nazionalizzazione del Canale di Suez, il 26 luglio 1956, messa in atto dal Presidente egiziano Nasser. L’esercito d’Israele approfitta della difficile posizione internazionale in cui venne a trovarsi l’Egitto e realizza una rapidissima avanzata nel Sinai fino al Canale di Suez. La situazione però è complicata dall’intervento militare di Francia e Gran Bretagna, i cui interessi sono stati colpiti dalla nazionalizzazione del Canale. Intervento condannato dall’ONU, in particolare dagli USA e dall’URSS, che al termine delle ostilità invia un corpo di spedizione, costringendo le forze anglo-francesi e d’Israele al ritiro. La situazione torna critica nel maggio 1967, quando Nasser avanza la richiesta del ritiro dei caschi blu dalla frontiera del Sinai e decide di bloccare gli stretti di Tiran, bloccando il traffico navale nel Golfo di Aqabah e quindi anche il porto israeliano di Elat. Il 5 giugno 1967, scoppia la Guerra dei Sei giorni. Israele apre le ostilità, con un potente attacco aereo distrugge quasi totalmente l’aviazione egiziana. Le forze israeliane occupano Gaza e il Sinai a danno dell’Egitto, la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme a danno della Giordania, gli altipiani del Golan a danno della Siria. Nel tentativo di riconquistare i territori perduti, il 6 ottobre 1973, Egitto e Siria sferrano un attacco coordinato contro Israele e danno così inizio alla quarta guerra arabo-israeliana, la Guerra del Kippur, festività ebraica celebrata nel giorno in cui ha inizio lo scontro. All’offensiva araba segue la controffensiva israeliana; sebbene, la risoluzione 338 del 22 ottobre 1973 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite impone il cessate il fuoco. La conseguenza immediata alla nascita dello Stato di Israele è uno stato di conflitto permanente che vede oggi l’insinuarsi di un fattore determinante. Nel 1987, quando comincia la grande insurrezione palestinese, la Prima Intifada, nasce Hamas. Il suo statuto fondativo stabilisce una serie di principi molto precisi, la conquista della Palestina e la distruzione di Israele. Hamas e la sua ala armata, le Brigate al-Qassam, sono stati negli ultimi tre decenni tra i principali responsabili degli attacchi a Israele. Nel corso della Seconda Intifada, cominciata nel settembre del 2000, si calcola che quasi la metà di tutti gli attacchi compiuti contro Israele siano stati compiuti da miliziani di Hamas e delle brigate al-Qassam. Da alcuni anni al governo di Gaza, l’organizzazione è stata spesso obiettivo di raid aerei da parte delle forze israeliane, operazioni militari che hanno mietuto vittime e che hanno attirato su Israele numerose critiche da parte dell’opinione pubblica mondiale, trascurando forse un dettaglio importante. Israele colpisce la popolazione civile palestinese e tutto questo è indubbiamente deprecabile, ma bisogna considerare che il conflitto vede schierati uno Stato contro un movimento terroristico. I raid israeliani fanno più rumore perché Israele è uno Stato, si sa dotato di una solida e avanzata struttura militare, e Hamas, è a tutti gli effetti una organizzazione fondamentalista islamica politica e paramilitare. Spero di essere stata esaustiva e, se poco chiara, sarò lieta di rispondere alle sue domande.

      Federica

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      1. Questa non è una risposta, è un saggio. 🙂 Mi fa quasi paura. Le date e le risposte le conosco e sono chiare e brevi. Ma non importa, conosco discretamente la storia del MO, vecchio e nuovo, che pertanto è in costante movimento. Continuerò a leggere chi mi illumina più immediatamente e senza filtri sugli eventi e le evoluzioni correnti, che purtroppo troppo pochi storici conoscono, perché non sono in grado di andare oltre la loro formazione europea o occidentale. Le mie fonti costanti di aggiornamento sono Barry Rubin (che continua, anche dopo la sua morte recente, ad illuminarmi con l’acutezza e la chiarezza implacabile dei suoi libri), Khaled Abu Toameh, Louis René Beres, Steven J. Rosen, Col. Richard Kemp, Burak Bekdil, Peter Huessy, Raheel Raza, Baroness Caroline Cox… per menzionare alcuni nomi di punta, che non appartengono alla intellighenzia stantia nostrana o accademica-bobo-chic d’Europa, né ai MSM e scrivono (come del resto faccio anch’io) 😦 per la maggiore in lingua inglese. Non la tedierò coi francesi e i tedeschi. 🙂

        Comunque, da signora vintage e una volta prof universitaria (Canada), credo che Lei abbia la stoffa per fare belle cose… spaziando oltre i confini che la trattengono e la limitano. Chissà che non riesca, dialogando con Lei in altra sede, ad aprire qualche porta, o finestra se la porta fosse troppo dura ad aprirsi … 🙂 Si faccia viva, mi mandi una mail… mi trova su LinkedIn o sul mio blog ilmondoedio oppure su Skype… Cordialissimamente, mariana costa weldon

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